Non si sa se Chet rappresenti più un’icona per i trombettisti o per i cantanti….fatto sta che pur autodidatta in ambedue gli strumenti (fortuna che ne nascono 1 su un milione) è, suo malgrado, un caposcuola.
Suo malgrado perché è anche l’icona del bello e dannato (voleva fare l’attore), un River Phoenix ante litteram, o se preferite un James Dean del Jazz che, insieme al suo amico baritonista Gerry Mulligan, furono le voci del jazz della West coast americana degli anni ’50. Leggendo la sua autobiografia, “Come se avessi le ali”, è strano notare che non parla mai della sua musica, o della musica in generale con toni appassionati, ma la cita come una cosa di tutti i giorni, il che fa capire la differenza tra “essere” e “fare”. Ma chi fa la storia se ne rende conto?
Dire che ebbe problemi di droga è un po’ riduttivo, credo che al di la di ogni racconto o aneddoto dobbiate vedere “let’s get lost” il film di Bruce Weber sulla sua vita.
La voce e il suono della tromba (praticamente non c’è differenza) di Chet ti lasciano a bocca aperta, senti My funny Valentine
Sono un sospiro, dal quale esce una malinconia struggente; poi se lo ascoltate nell’ultima parte della sua vita, quando si sente la fatica di tirare fuori il suono, beh, tirate fuori i fazzoletti….
Ascolti obbligatori: “it could happen to you”, raccolta di standards cantata e “scattati”da cui vi faccio ascoltare Do it the hard way
E poi “Chet Baker sings” della Pacific Records, altra cartata di chicche.
Tra gli ascolti facoltativi metteteci qualcuno dei tanti suoi dischi suonati, tanto per capire che non c’è differenza..
(Pierluca Buonfrate)